DALL' ABNEGAZIONE DEI VOLONTARI LA SPERANZA PER IL FUTURO DEL GUATEMALA

23 ottobre 2005

23 0tt0bre - La stampa guatemalteca di oggi sente la necessità di rendere omaggio ad alcune persone comuni, illustri sconosciuti, che senza alcuna contropartita, nei giorni del disastro, con un'abnegazione derivante solo dal senso di responsabilità e dalla convinzione di voler e dover rendersi utili, hanno sfidato la pioggia, il freddo, la tormenta, messo a rischio lapropria vita, per salvare quante più vite umane possibile, mentre gli aiuti istituzionali, sia per oggettive difficoltà tecniche, sia per i bastoni fra le ruote burocratici e gli assalti ai mezzi che trasportavano i materiali di soccorso, tardavano ad arrivare.
In un commovente articolo del quotidiano "Prensa Libre", firmato da Lorena Seijo, si cita, ad esempio, il caso di Carlos Miguel Esquina, venticinque anni, che ha scavato per ore ed ore con la sola pala nella terribile valanga di fango di Panabaj, sentendo di minuto in minuto venir meno la speranza di trovare qualcuno ancora vivo. Speranza che si riaccese, ma solo per un attimo, quando le sue mani si imbatterono nel corpicino di una bimba di sette-otto mesi, alla quale Carlos Miguel tentò di praticare anche la respirazione bocca a bocca, nel tentativo disperato di aggrapparsi forse all'ultimo battito del suo cuore. "Pero estaba ahì - dice Carlos - muerta por el frio, como si fuera chocolate". Come lui, tanti altri i volontari di Panabaj, gente non preparata ad un disastro del genere, ma che non si è perduta d'animo e non ha perso tempo, visto che gli aiuti "specializzati" non si vedevano. E intanto, Carlos e gli altri, mentre recuperavano corpi, panni, giocattoli, ospitavano nelle proprie povere case intere famiglie che la casa l'avevano perduta del tutto.
O come il pompiere volontario Victor Corso di San Marcos che, alla testa di un microplotone di cinque uomini, che non avevano neppure fatto in tempo ad avvisare le proprie famiglie per l'urgenza di partire a dare soccorso, raggiunse, in quattro giorni di drammatico viaggio in mezzo alla bufera, un'aldea sperduta e rimasta completamente isolata, dove - dice Victor - la gente si è sentita un po' più tranquilla anche al solo vederci arrivare.
E poi c'è il caso di Audencio Ramirez, poliziotto (evidentemente ci sono anche poliziotti onesti in Guatemala...) il quale, mentre spalava fango nell'aldea Rio Blanco, anche questa nella martoriata provincia di San Marcos) ricevette la notizia che sua moglie era morta e che il suo figlio maggiore, un bambino di dieci anni, era scomparso.Lui stesso, dopo giorni, ne trovò i corpi, e adesso dice: "Chissà, forse, se invece di andare ad aiutare altra gente fossi rimasto nel mio villaggio, a quest'ora sarei morto anch'io e gli altri miei tre figli non avrebbero più nessuno ad occuparsi di loro".
Adelso Chavajay, invece, a Las Pozas, nei pressi di Chiquimula, Distretto di Santa Rosa, sulla costa pacifica, ha trasformato la sua barchetta a remi in un vero e proprio mezzo di soccorso, ha remato e remato imbarcando e portando insalvo famiglie intere fino a che non ha visto più nessuno. Quando sono arrivati i soccorsi, due giorni dopo, le case di quelle famiglie erano competamente sommerse dall'acqua. Adelso non ha delegato il da farsi a nessuno e adesso molte persone gli devono la vita.
Nella zona di Chimaltenango, a Tecpàn, non molto lontano da dove sta il nostro "Rekko 7", Rufino Guarcox, ha camminato per ore ed ore con il fango a mezza gamba, reclutando altri uomini della sua aldea, sfidando anche i ponti distrutti dalla furia delle acque e scalando le frane, per aprire un cammino di fortuna che consentisse di portare a spalla alla gente del suo villaggio gli aiuti giàpronti e caricati su sei "pic-op" che non potevano affrontare le strade ormai inestistenti.
Luis Fernando Estrada, invece, è un giovanottone di ventitre anni, che ha lasciato casa e il suo laboratorio di falegnameria, si è offerto volontario per andare a imballare i materiali destinati agli aiuti e a caricare i camion che dovevano portare i pacchi a destinazione, e per dieci giorni, chiuso dentro al magazzino nel Parque de la Industria, ha dormito qualche minuto ogni tanto disteso sul suo poncho, con la determinazione a non tornare a casa fino alla fine dell'emergenza.
Storie di gente "qualsiasi", che non avranno ricompense, che non chiedono neanche che si dica loro "grazie". Storie di volontariato vero. Storie che dicono al Guatemala, ma anche a tutti noi, che l' "altro mondo possibile" sta nelle nostre mani e nella nostra volontà molto, molto prima e molto molto di più che nelle "decisioni" degli organismi di alto livello.

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